Economia

Lavoro e Professioni

2011, la decimazione dei dirigenti in seimila hanno lasciato il lavoro

L’“INDAGINE SULLE RISOLUZIONI DEI RAPPORTI DI LAVORO NEL 2011”, CHE FEDERMANAGER ANTICIPA AD AFFARI&FINANZA, ILLUSTRA IN MODO INEQUIVOCABILE IL PIANO INCLINATO DELLA CRISI IL PRESIDENTE AMBROGIONI: “OCCORRE FORMARE E RIORIENTARE GLI ESPULSI”

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<p>Roma Seimila dirigenti in meno. L’“Indagine sulle risoluzioni dei rapporti di lavoro nel 2011”, che Federmanager anticipa ad Affari&Finanza, illustra in modo inequivocabile il piano inclinato della crisi. I risultati non sorprendono troppo l’organizzazione (rappresenta 180 mila dirigenti in servizio e in pensione), ma pure sono l’occasione per ribadire alcune esigenze, su cui Federmanager insiste da tempo: «In primis – afferma il presidente Giorgio Ambrogioni -, occorre formare e riorientare, attraverso servizi ad hoc, i manager espulsi dalle aziende». Venendo ai dati 2011, basati sulle risposte delle associazioni e dei sindacati territoriali, i casi di risoluzione dei rapporti di lavoro sono 4.266: alla menzionata stima di 6.000 si arriva includendo anche le risoluzioni che avvengono fuori dalla sede sindacale. Quegli oltre 4.200 rappresentano comunque, sottolinea Federmanager, il più alto numero di risoluzioni mai emerso dal 2004, con un incremento del 6% rispetto al 2010 e del 13% rispetto al 2009. E i licenziamenti riguardano circa un terzo delle risoluzioni verificatesi l’anno passato, mentre le consensuali sono oltre il 65%. «La crisi – commenta Ambrogioni - porta le aziende a delocalizzare o a ristrutturare gli organigrammi, a cominciare dalle figure apicali. Il nostro sistema industriale, in questa situazione, si sta impoverendo drasticamente di competenze. Da non sottovalutare, poi, quel particolare fenomeno che si è accentuato negli ultimi tempi e che riguarda i tanti dirigenti che, pur di non perdere il posto di lavoro, hanno accettato di essere dequalificati e quindi di restare in azienda come quadri». E l’età media dei fuoriusciti, rivela il rapporto Federmanager, si sta abbassando. Anche se oltre il 57% delle risoluzioni del 2011 continua a riguardare manager over 50, per i dirigenti più giovani (fino a 45 anni) le rotture col datore di lavoro sfiorano ormai un quarto del totale (sono il 22%). Per quanto riguarda i ruoli manageriali più colpiti, prosegue la depressione nel settore commerciale/ marketing e nell’area tecnica/produzione. Gli ambiti merceologici più in difficoltà restano quelli dell’informatica/elettronica/ TLC e del meccanico/siderurgico. «Una simile cornice ribadisce il fatto che il destino dell’Italia non può essere legato alla grande industria, che quasi non esiste», osserva il presidente di Federmanager. «L’obbiettivo da perseguire è entrare a pieno nel “quarto capitalismo”, incentrato sulla media impresa globale: un’azienda di dimensioni contenute che sa investire in conoscenza e internazionalizzazione». E appunto, analizzando le tipologie dimensionali, emerge l’aumento del livello delle risoluzioni nelle imprese di piccole dimensioni, cioè quelle con un numero di dirigenti non superiore a 3: nel 2011 sono l’11% del totale, con un balzo del 7%. Calano, invece (-8%), le risoluzioni avvenute nelle aziende con un numero di dirigenti compreso tra 4 e 10 (sono il 21% del totale). Oltre la metà delle uscite, per altro, avviene in due segmenti attigui, sommando cioè le taglie da 11 a 50 dirigenti (30%) e da 51 a 100 dirigenti (22,3%). Da non trascurare la ripartizione geografica. Il 77% di tutte le risoluzioni si registra nella zona Nord-Ovest del Paese, soprattutto per la più alta concentrazione di aziende. Qui l’incremento annuo è stato del 6% circa. Ma preoccupa la Lombradia, che detiene oltre l’85% delle risoluzioni avvenute nella menzionata macro-area. Al Centro le fuoriuscite si attestano sul 13%, confermando il trend discendente registrato negli ultimi anni. Nel Nord-Est il fenomeno regredisce lievemente, -3% rispetto al 2010. «Il problema generale, oltre al drammatico calo dei posti di lavoro, è la dispersione delle competenze: è la grande questione del mancato incontro tra offerta e domanda di managerialità», sottolinea Ambrogioni. «Le piccole imprese, che sono il fulcro dell’identità economica italiana, guardano con sospetto al manager fuoriuscito dalla grande industria. Quest’ultimo, da parte sua, pecca spesso in chiusura: non si fa aiutare, non si forma per potersi riposizionare sul mercato. Manager e dirigenti devono essere umili, le organizzazioni di rappresentanza possono fare molto: noi abbiamo di recente dato vita a un progetto formativo, con Confindustria- Piccola Industria e Fondirigenti, proprio per la crescita manageriale delle aziende piccole». E in parallelo al discorso sulla formazione c’è quello sui servizi professionali di outplacement: le risorse umane, notano ormai tutti gli specialisti dell’organizzazione del personale, devono essere gestite, specie nella difficile fase del ricollocamento, in modo professionale. Non basta il fai-da-te. «Il passa-parola o la conoscenza diretta, che restano una peculiarità del sistema Italia, non portano molto lontano. Anche qui le organizzazioni di rappresentanza possono giocare un ruolo strategico», nota Ambrogioni. «Abbiamo visto che, attraverso i canali più professionalizzanti, manager e dirigenti riescono a collocarsi più velocemente: i tempi medi sono di circa 6 mesi e mezzo. Un terzo si ricolloca come dirigente, un terzo come quadro e un terzo come manager atipico». 1 2 3 Giorgio Ambrogioni (1), presidente Federmanager, il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera (2) e il presidente Confindustria, Giorgio Squinzi (3) Qui sopra, una serie di grafici illustra i motivi delle risoluzioni consensuali fra imprese e dirigenti </p>