Eravamo fiduciosi, anche se nulla era dato per scontato, ma, dopo l’ordinanza dello scorso 22 gennaio del Tribunale di Palermo, possiamo dire che era la strada giusta da intraprendere. Naturalmente è solo il primo passo. Ora attendiamo l’esito anche degli altri procedimenti, di cui siamo nuovamente promotori nell’ambito di un’iniziativa questa volta confederale, auspicando che anche da questi emergano i profili di incostituzionalità con la remissione degli atti alla Corte Costituzionale per dare ulteriore forza alla nostra azione. Anche questa volta siamo stati i primi e le numerose iniziative attivate da altre organizzazioni, non potranno che allinearsi a quanto fatto da noi. I ricorsi all’Inps suggeriti da altri quindi non sono utili, come abbiamo più volte detto. Un bel successo da ascrivere alla capacità, alla tenacia e alla determinazione che tutti insieme abbiamo messo in campo e che i nostri pensionati siamo certi sapranno apprezzare.
Adesso tocca nuovamente alla Corte Costituzionale, speriamo in tempi ragionevoli, dalla quale ci attendiamo coerenza, anche se non siamo del tutto tranquilli. Le pressioni politiche e mediatiche saranno pesanti, stiamo stringendo alleanze per non rimanere isolati, tuttavia, ed è triste doverlo rimarcare, come la Magistratura resti, tra i poteri del nostro ordinamento, l’ultimo baluardo per il rispetto dei principi fondanti della nostra Costituzione a cui le leggi ordinarie dovrebbero ispirarsi e soprattutto osservare, sempre e soprattutto dopo una sentenza della Corte Costituzionale.
Un pessimo precedente, quello della legge n. 109 dello scorso anno, emanata dopo la nota sentenza della Consulta n. 70/2015, che aveva dichiarato incostituzionale l’art. 24, comma 25 della legge n. 214/2011 (famigerata legge “Fornero”). Una legge non richiesta perché le sentenze della Consulta si applicano e non si interpretano, come dovrebbe avvenire in uno Stato di diritto. Il Governo, invece, ne ha disposto una propria interpretazione fondata su basi ragionieristiche, fregandosene altamente dell’ordinamento, dei diritti degli interessati e del danno provocato al Paese in termini di reputazione e di affidabilità. Uno Stato di “pulcinella”, più che di diritto. Un brutto incidente di percorso che non ammette repliche, qualora la Corte dovesse censurare la normativa in commento, come ci auguriamo.
Non solo ma la cosa più ignobile e meschina è la pervicace azione condotta anche con la complicità del Presidente dell’Inps, di far cadere abilmente il dibattito nella trappola dello scontro generazionale. Strumentalizzare i nostri giovani è il peccato più grave. Sappiamo bene che le riforme attuate daranno in futuro al primo pilastro pubblico un ruolo minore per dare sostenibilità al sistema pensionistico nel lungo periodo ed è per questo che sono nati i fondi pensione complementari. In ogni caso il loro futuro previdenziale non si garantisce mettendo in discussione i diritti degli anziani, ma attraverso interventi strutturali, a cominciare dalla necessità di creare maggiore occupazione e di ridurre l’area dell’evasione contributiva ancora molto estesa. Di questo dovrebbe occuparsi principalmente il Presidente dell’Inps anziché perdere tempo in elaborazioni dottrinali, svolte fuori dal seminato, dal forte contenuto ideologico e supportate da dati del tutto inattendibili.
Un po’ di populismo e di demagogia è inevitabile quando si governa un Paese, ma andare oltre un certo limite pone a rischio la stessa democrazia. Diffidiamo dai giacobini, sono estremamente pericolosi. Purtroppo ne abbiamo diversi disseminati un po’ ovunque. Fare giustizialismo sociale significa alimentare la belva dell’invidia sociale, molto pericolosa perché mai sazia, ma soprattutto significa sostenere uno sterile, dannoso egualitarismo e condannare il nostro Paese a un inevitabile declino. Il tema non è quello di far stare peggio chi sta meglio, ma semmai è far stare meglio chi sta peggio!
Dare una prospettiva ai nostri giovani non significa certamente questo. Chiedono un Paese che abbia una visione, che dia loro la possibilità di realizzare i propri sogni, capace di offrire delle opportunità che purtroppo sono spesso costretti a ricercare all’estero. Un Paese in cui trovare le giuste motivazioni, che sappia ripagarli dei sacrifici fatti e li faccia sentire protagonisti di un futuro migliore potendo dimostrare quello che davvero valgono.
Cardinale colpisce ancora, verrebbe da dire! Pur essendo il Tribunale lo stesso, quello di Palermo per la riassunzione della causa sospesa in attesa della pronuncia della Consulta, il Giudice invece no, è un altro. Un giovane giudice che ha sostituito il suo predecessore recentemente pensionato che aveva disposto la precedente ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale. Veniamo al merito dell’ordinanza: l’eccezione riguarda la parte in cui la norma in esame prevede, nel caso di specie, la rivalutazione solo nella misura del 20%, rientrando l’interessato nel range dei trattamenti pensionistici di importo complessivamente superiore a 4 volte il trattamento minimo Inps e inferiore a 5 volte il trattamento medesimo. Occorre ricordare, infatti, che la norma censurata riconosce la misura del 100% solo per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo Inps, percentuale che decresce al 40%, al 20%, al 10% fino ad azzerarsi per quelli superiori a 6 volte il trattamento minimo Inps.
Il Tribunale di Palermo ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di incostituzionalità in quanto “la suddetta rivalutazione è di entità talmente modesta da indurre a ritenere che anche la nuova normativa mantenga un contrasto con i principi dettati dalla Costituzione e con l’interpretazione che degli stessi ha fornito la Corte Costituzionale”. In altre parole il sistema di modulazione della rivalutazione non ha tenuto conto di quanto statuito dalla Consulta con la nota sentenza n. 70 (e più in generale dalla giurisprudenza della stessa Corte), data la modesta misura percentuale riconosciuta, in quanto difforme anche da quanto previsto dalla legge n. 147/2013 (meglio nota come “meccanismo perequativo Letta”) che avrebbe garantito al ricorrente la misura del 75% anziché del 20%.
L’ordinanza pone bene in evidenza che il blocco anche parziale della perequazione automatica produce i suoi effetti in modo permanente, non essendo prevista alcuna forma di recupero negli anni successivi della parte non corrisposta, e che la modesta entità della rivalutazione riconosciuta:
• impedisce la conservazione nel tempo del valore della pensione, menomandone l’adeguatezza;
• vìola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento della retribuzione goduta in costanza di rapporto di lavoro) e la retribuzione goduta durante l’attività lavorativa;
• altera il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno alla categoria dei pensionati.
In sostanza anche la legge n. 109/2015 mantiene, ad avviso del Tribunale di Palermo, un contrasto con i suddetti principi dettati dalla Costituzione violando gli artt. 3, 36, comma 1, e 38, comma 2, della Costituzione, e con l’interpretazione che degli stessi ha fornito la Corte medesima nelle precedenti sentenze.
Un monito al legislatore che ci auguriamo la Corte raccolga. La politica non può e non deve dimenticare i numerosi blocchi totali o parziali della perequazione automatica e i vari contributi di solidarietà già imposti in tutti questi anni, non può e non deve continuare a calpestare i principi sacri della nostra Costituzione, ma soprattutto non può e non deve prevaricare i diritti di persone costringendole a subire un danno permanente quando, ormai in quiescenza, non hanno la possibilità di porvi rimedio. Uno Stato non deve tradire l’affidamento che ha dato ai propri cittadini al solo scopo di far tornare i conti, quando gli enormi sprechi e le inefficienze sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti e la cura non è certamente quella di tartassare chi si comporta onestamente. Saremo vigili, proattivi nei confronti delle Istituzioni e disponibili a un confronto con Renzi o chi per lui se, questa volta, ce ne darà l’occasione.