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Che cosa è successo all’Agenzia digitale

Per fare la rivoluzione digitale meglio partire dal consiglio regionale veneto piuttosto che dall’Agenzia per l’Italia digitale?

La domanda nasce spontanea dopo la decisione del direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid), Alessandra Poggiani, di candidarsi alle prossime elezioni in Veneto a sostegno di Alessandra Moretti (Pd). Quando, il 12 marzo, Formiche.net ha pubblicato l’indiscrezione ci fu risposto che era l’ennesimo gossip. Il gossip si è rivelato vero. Anzi, come dice oggi Poggiani a Repubblica.it, “la decisione l’ho maturata un mese fa”. Quindi molto prima del sedicente gossip.

Ma dopo il profluvio contraddittorio di dichiarazioni e interviste di Poggiani per confermare/annunciare le dimissioni, i veri motivi della decisione si fanno sempre più confusi.

La prima ricostruzione di Poggiani, raccolta dal direttore di Wired, Massimo Russo, era piuttosto sbuffante: verso le inerzie burocratiche, verso i dipendenti litigiosi e dediti a vertenze giuslavoristiche, verso gli addetti di lavori un po’ narcisi e autoreferenziali (con stoccate pure a componenti dell’Agid e a consulenti governativi) e con rilievi finanche sul piano del governo per la banda larga (giudicato “limitato”; un aggettivo che ha suscitato su Twitter il rabbuffo del presidente di Cdp, Franco Bassanini).

Le successive dichiarazioni di Poggiani, al Corriere delle Comunicazioni, offrono una versione più istituzionale. Ha detto in sostanza: ho praticamente realizzato gli obiettivi, il piano digitale del governo va a gonfie vele, ora voglio dare una mano a Venezia e al Veneto con la mia amica anche di partito, Alessandra Moretti.

A lume di naso, sembrano più sincere le dichiarazioni raccolte da Wired. Ma chissà. D’altronde fin dalla nomina di Poggiani alla direzione di Agid le polemiche e la scarsa chiarezza non sono mancate. A partire dal suo curriculum, ovvero dalla sua laurea. Non era solo una questione formalistica ma di sostanza: tanto che finanche all’estero, tra chi mastica di cose digitali, si iniziava a sghignazzare della faccenda gestita dal ministero della Pubblica amministrazione retto da Marianna Madia. Il caso è rimasto anche sotto traccia per un profilo silente scelto dalle opposizioni, in particolare il centrodestra. Eppure l’attivissimo forzista Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, è stato predecessore della Madia. Dunque chi più di lui poteva menare il can per l’aia? Eppure non l’ha fatto.

L’ha fatto, sotto traccia, Palazzo Chigi. I vari consiglieri del premier, a partire da Andrea Guerra, già capo azienda di Luxottica, ma anche altri, compreso l’amministratore delegato di Poste, Francesco Caio, che di questi dossier si occupa da tempo e sotto vari governi di diverso colore, stanno da tempo studiando un riassetto complessivo di competenze e ruoli di agenzie, enti e società che si occupano del tema. In questa riorganizzazione, che potrebbe vedere la nascita di un dipartimento ad hoc alla presidenza del Consiglio accorpando varie funzioni sparse, rientrerà anche Agid, con tempi e modalità ancora da stabilire. Proprio oggi Federmanager chiede a Renzi di occuparsi direttamente del dossier, affidando a un sottosegretario di Palazzo Chigi il coordinamento.

Non solo: in questo scenario al vaglio di Renzi e dei renziani di stretta osservanza, l’Agid non avrà un ruolo di perno, ma secondario, e magari rivisitato e limato (qui tutte le indiscrezioni in un articolo di Formiche.net del 28 gennaio scorso). Un buon motivo per Poggiani per lasciare la direzione dell’Agid? Chissà. Certo che i subbugli interni per alcune decisioni assunte dalla stessa Poggiani, e con echi di indagini in fieri della magistratura contabile, non hanno contribuito a rasserenare il clima politico e sindacale.

Dunque, avanti tutta con Ladylike per scalzare il governatore leghista Luca Zaia.

E l’Agid? Ha scritto oggi Massimo Sideri del Corriere della Sera: “Dopo il flop di Agostino Ragosa, il predecessore di Alessandra Poggiani che aveva tentato di applicare allo Stato la logica dei server Ibm (sarebbe bastato un buon documentario sulle origini di Apple per evitare un nuovo ritardo), e quello della Poggiani, ora il tempo è scaduto”.

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