Roma, 17 lug. (Labitalia) – E' trascorso ormai un anno da quando
la riforma del mercato del lavoro firmata dall'ex ministro del
Welfare, Elsa Fornero, e' entrata ufficialmente in vigore nel nostro
Paese. Ma quali sono state, a seguito di questo provvedimento, in
quest'ultimo anno di difficile crisi economica, i comportamenti e le
azioni strategiche attuate dalle aziende in materia di risorse umane?
Se l'effetto immediato di applicazione della riforma registrato nei
primi sei mesi dalla sua entrata in vigore era stato una riduzione dei
contratti a progetto (-20,2%), un aumento dei contratti a tempo
indeterminato (+8,2%) e dei contratti di apprendistato (+3,2%),
l'ultima survey di Gi Group Academy mostra un sostanziale annullamento
di tali effetti a un anno dalla legge, con i comportamenti delle
imprese che, dal punto di vista delle scelte contrattuali, sono
tornati ad essere simili alla situazione da cui si partiva.
A rilevarlo Gi Group Academy, la fondazione di Gi Group nata per
promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura del
lavoro, che nel mese di giugno ha avviato la seconda survey
dell'Osservatorio permanente sulla riforma del mercato del lavoro,
promosso a fine 2012; ad essere interrogato, in occasione di questo
secondo appuntamento, un campione di 351 aziende (Hr manager e
imprenditori).
Alla survey seguiranno i Focus group di approfondimento con le
aziende che hanno aderito ai tavoli di lavoro. Contestualmente,
l'Osservatorio ha elaborato informazioni provenienti da diverse banche
dati per darne una lettura originale alla luce della riforma. (segue)
(Labitalia) – Dall'indagine, dunque, emerge che la maggior parte
delle imprese considerate ritiene che la legge 92/2012 non abbia
apportato alcun cambiamento rispetto alle aree (flessibilita' in
entrata, contrattazione di secondo livello, gestione dell'uscita,
politiche attive e ammortizzatori sociali) verso le quali poteva
esercitare un impatto, ne' dal punto di vista dell'efficacia ne' dal
punto di vista dell'efficienza. In particolare, per quanto riguarda la
gestione della flessibilita' in entrata, il 43,6% ritiene non vi sia
stato nessun cambiamento, contro un 40,2% che ritiene vi sia stato un
peggioramento e un 16,2% per il quale vi e' stato un miglioramento.
Stessa situazione per quanto riguarda la capacita' della riforma
di rendere meno costose determinate aree: prevale il sentiment del
'non cambiamento' soprattutto sul tema delle politiche attive, degli
ammortizzatori sociali e della contrattazione di secondo livello. Dopo
i cosiddetti 'indifferenti' prevale il numero di coloro che ne hanno
una visione negativa a discapito di chi, invece, percepisce la legge
in modo positivo.
L'ambito all'interno dell'impresa rispetto al quale la riforma
ha esercitato l'impatto maggiore e' rappresentato dalla flessibilita'
in ingresso (49,9%), seguita dalla gestione della flessibilita' in
uscita (18,5%) e dall'utilizzo di ammortizzatori sociali (16%). E, a
un anno dall'entrata in vigore della riforma non si riscontrano
variazioni evidenti rispetto al numero di aziende che utilizza i
diversi tipi di contratto. Diminuiscono solo le realta' che ricorrono
agli stage (-5,2%) e ai contratti di collaborazione a progetto
(-3,7%). (segue)
(Labitalia) – Solo il 23,4% delle imprese, a seguito della
riforma, sostiene di aver compiuto delle trasformazioni di contratti
non a tempo indeterminato. In particolare, nel 73,2% dei casi si e'
optato per altre forme flessibili (tempo determinato 25,6%, contratti
di apprendistato 14,6%, co.co.pro. e partite Iva 12,2%,
somministrazione a tempo determinato 8,5%, altro 12,2%) mentre, solo
nel 26,8% dei casi si e' optato per contratti a tempo indeterminato.
Il 56,4% delle aziende dichiara di aver gestito almeno un
inserimento nel primo semestre 2013. Questa percentuale risulta piu'
bassa di 4,9 punti rispetto a quella registrata nello stesso periodo
del 2012 (56,4% contro 61,3%). Analizzando il periodo da luglio 2012
ad oggi, invece, sono state inserite 29.349 persone, di cui il 45,3%
(13.305 persone) con contratti di lavoro subordinato (tempo
indeterminato, tempo determinato e apprendistato).
Se si analizzano i risultati in particolare per quanto riguarda
i giovani, si puo' affermare che, a un anno dall'entrata in vigore
della legge Fornero, meno della meta' delle aziende che hanno preso
parte all'indagine (il 44,4%) dichiara di aver assunto giovani fra i
15 e i 29 anni, che rappresentano il 55% degli inserimenti
complessivamente realizzati. In totale, in questo periodo le aziende
oggetto dell'indagine hanno assunto 16.403 giovani. La maggior parte
dei ragazzi e' stata inserita con contratti di collaborazione a
progetto (38,7%); seguono poi i contratti a tempo determinato (24,5%),
i tirocini (13,2%), i contratti a tempo indeterminato (7,6%),
l'apprendistato (6,3%), i contratti di inserimento (6,1%), la
somministrazione a tempo determinato e indeterminato (3,1%) e la
partita Iva (0,6%). (segue)
(Labitalia) – Quanto ai lavoratori 'maturi', restano
principalmente un problema 'non gestito' per il 47,6% dei rispondenti
e la soluzione maggiormente impiegata per gestirli e' rappresentata
dall'utilizzo delle loro competenze ed esperienze per affiancare i
piu' giovani (coaching/mentoring), adottata dal 21,1% delle aziende
indagate. Da rilevare anche che, fino a giugno 2013, le aziende del
campione intervistato che hanno fatto ricorso alla 'staffetta
intergenerazionale', strumento introdotto nel 'pacchetto lavoro'
dall'attuale governo Letta, sono rappresentate solo dal 4,3%.
Altra area oggetto di indagine e' quella degli ammortizzatori
sociali. Sebbene la riforma Fornero abbia introdotto una
raccomandazione all'utilizzo dell'outplacement, nulla e' cambiato per
quanto riguarda il ricorso alla ricollocazione professionale da parte
delle imprese: la survey indica, infatti, che prima della riforma il
2% delle aziende intervistate aveva impiegato l'outplacement,
percentuale che non e' cambiata a un anno dalla sua entrata in vigore.
Quasi un terzo dei rispondenti (il 31%) non sa dire se la
propria azienda possa ricorrere a determinate forme di politica
passiva del lavoro (cig o cigs, con percentuali che tendono ad
aumentare passando dalla cig alla cigs): un dato, questo, che attesta
come nel nostro Paese sia ancora troppo limitata la conoscenza di
questa tipologia di strumenti.