Partiamo da un dato di fatto: il welfare aziendale è sempre più sulla cresta dell’onda nell’attuale panorama giuslavoristico, sociale, politico e istituzionale. In particolare le aziende più strutturate puntano molto sul welfare aziendale, anche “buttando il cuore oltre l’ostacolo”, consapevoli che l’attuale supporto normativo è superato, inadeguato e carente. E’ evidente la correlazione esistente tra la crisi del welfare state, soprattutto in prospettiva, e lo sviluppo del welfare aziendale che intende colmare le carenze di politiche pubbliche inadeguate. Il reddito di lavoro da solo non è sufficiente a fronte della necessità di proteggere i lavoratori contro i rischi e di coprire esigenze che vanno attualizzate, esigenze che, invece, l’azienda può soddisfare direttamente e in forme diverse tramite politiche interne ad hoc. Il welfare aziendale si fonda sulla necessità di soddisfare sul posto di lavoro bisogni rispetto ai quali il compenso monetario non ha potenzialità: accanto al salario, che è certamente la componente più importante della total reward compensation, viene predisposto un panel eterogeneo di beni e servizi di carattere non monetario ma comunque di elevato valore in termini di fruibilità e utilità per quanto riguarda le esigenze personali e familiari del lavoratore, oltre che la sfera della conciliazione vita-lavoro: i cosiddetti flexible benefit.Se questa è la rosea prospettiva per i dipendenti, l’azienda, dal suo canto, ne ricava, un doppio vantaggio: di certo un miglioramento del clima aziendale e, di conseguenza, un potenziale incremento della produttività, ma ciò che fa principalmente gola è il trattamento fiscale agevolato che accompagna tali “forme di compensazione” derivante dalla ricomprensione nella categoria dei flexible benefit di cui all’art. 51 Tuir ovvero legato all’originaria natura liberale, alle finalità sociali che le caratterizzano o magari soltanto a questioni di “solidarietà aziendale” (art.100 Tuir). Un modus operandi intelligente per ridurre il peso del cuneo fiscale nell’attesa che ci pensi il nostro legislatore.E’ l’art. 51 Tuir, noto per disciplinare il trattamento dei fringe benefit in capo ai dipendenti, in particolare di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa, il principale strumento fornito dal legislatore a sostegno dell’implementazione di piani di welfare aziendale, che delinea, altresì, le aree di possibile intervento. Tale disciplina normativa, che prende le mosse dal principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, argomentando a contrariis, prevede che taluni benefit, erogati per soddisfare esigenze e interessi meritevoli di tutela, non concorrano, o concorrano solo in parte, alla formazione del reddito imponibile dei dipendenti. Entrando nel merito, l’art. 51, comma 2, del Tuir prevede la possibilità di erogare (senza concorrere alla formazione della base imponibile fiscale e previdenziale), tra gli altri, benefit anche in denaro, quali contributi previdenziali ed assistenziali, somme per asili nido, colonie, borse di studio, regolamentate per accordo o regolamento aziendale; d’altro canto l’art. 100 Tuir, in combinato con l’art. 51, lett. f, prevede la non concorrenza alla base imponibile fiscale e previdenziale solo di benefit in natura per finalità di educazione, istruzione, ricreazione oltre che di assistenza sociale e sanitaria, a condizione che siano offerti spontaneamente alla generalità dei dipendenti o categorie di essi, non potendo, pertanto, formare oggetto di un obbligo contrattuale del datore di lavoro (Ris. 26/E del 26 marzo 2010).
Il requisito della volontarietà della spesa datoriale ha spinto, fino ad oggi, a delineare i benefit ex art. 100 come un atto di pura liberalità del datore di lavoro, posto così alla stregua del buon padre di famiglia, diversamente dalle forme tradizionali di benefit di cui all’art. 51, per le quali l’origine contrattuale è essenziale ai fini del diritto al trattamento fiscale agevolato.
Tale ambiguità di fondo rema contro l’attuale tendenza delle aziende, quella di ricomprendere, a tutti gli effetti, i benefit di cui all’art. 100 tra le politiche retributive, facendoli diventare uno degli assi portanti della total compensation, e genera situazioni di conflitto o, comunque, di confusione rispetto, ad esempio, ai trattamenti di assistenza sociale e sanitaria. E’ necessario, quindi, un forte vento di cambiamento che attualizzi il nostro sistema normativo – fiscale, ormai vetusto, che tenga conto del mutato contesto economico-sociale e consideri i benefit come componente portante del “trattamento”del lavoratore, non più soltanto integrativa o sostitutiva rispetto alle forme di compensazione monetaria. Questo chiaramente implica uno svuotamento del significato e della forza del requisito della volontarietà, che assumerebbe una valenza per lo più figurativa e idealistica, a vantaggio di un dovuto recupero del ruolo della contrattazione collettiva, che nella disciplina del trattamento del lavoratore non può di certo mancare di “dire la sua” e dettare le proprie regole nelle dovute sedi aziendali.
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