Noi manager sappiamo bene che i numeri sono fondamentali per comprendere i fenomeni e che per prendere la decisione giusta bisogna saperli leggere e interpretare correttamente.
Quando si parla del welfare del nostro Paese, chissà perché, i dati vengono da sempre presentati ad usum delphini. Per questo parliamo di mezze verità o mezze bugie. Magari anche in buona fede, ma questo non attenua le colpe.
Non a caso “Equità pensioni: operazione verità” è il titolo dell’evento che Federmanager ha organizzato a Napoli il 14 maggio prossimo alle ore 12 (Sala Arancione) nell’ambito della Giornata nazionale della Previdenza e del lavoro (GNP) organizzata da Itinerari Previdenziali nella splendida cornice di Piazza del Plebiscito.
Quindi, anche quest’anno, Federmanager sarà tra i protagonisti della GNP giunta ormai alla V edizione, che ogni anno, con una serie di appuntamenti e dibattiti, propone delle giornate dedicate ai temi della previdenza, del lavoro e del welfare .
E’ ricorrente il pensiero che questo Paese spenda troppo per le pensioni e poco nelle altre forme di protezione sociale quali la famiglia, la disoccupazione, l'inclusione sociale e la casa. Nulla di più falso se i dati vengono correttamente riclassificati.
Lo dimostra il secondo Rapporto sul "Bilancio del sistema previdenziale italiano" curato proprio da Itinerari Previdenziali, di cui Alberto Brambilla è il Presidente del Comitato scientifico.
Depurando la spesa pensionistica sia degli oneri non pensionistici, relativi agli assegni familiari, alle maggiorazioni sulle pensioni, alle integrazioni al minimo, sia degli effetti degli oltre 450 mila prepensionamenti, che sono imputati nel conto pensioni (mentre negli altri Paesi sono contabilizzati giustamente sotto altra voce), si scopre un altro mondo.
La spesa pensionistica per il 2013 (l'ultimo anno a cui fa riferimento il rapporto) risulta complessivamente pari a circa 247 miliardi di euro e comprende la quota di trasferimenti della Gestione Interventi Assistenziali (GIAS) che vale circa 33 miliardi che andrebbe correttamente posta a carico della fiscalità generale.
Se venisse scorporata la GIAS la spesa, in rapporto al PIL, passerebbe dal 15,31% al 13,25%. Inoltre poiché nel nostro Paese le pensioni sono tassate, sarebbe corretto indicare l’importo della spesa pensionistica al netto delle imposte in quanto per lo Stato costituisce una partita di giro. Stiamo parlando di 43 miliardi e, quindi, il rapporto rispetto al PIL scende attorno al 12,6%, in linea con quanto avviene negli altri Paesi.
Veniamo ora al tema della dinamica della spesa pensionistica, che ha registrato nel 2013 una crescita dell'1,65%. Molto meno quindi, rispetto al trend degli anni precedenti, a dimostrazione che le riforme attuate dal 1996 in termini di stabilizzazione del sistema previdenziale stanno producendo i loro effetti in linea con le aspettative, su cui molto hanno contribuito anche i ripetuti interventi sull'adeguamento inflattivo che conosciamo bene (purtroppo).
A questo proposito la Corte Costituzionale è recentemente intervenuta con la sentenza n. 70/2015 dichiarando illegittimo il blocco della perequazione automatica per gli anni 2012 e 2013 stabilita dalla “legge Fornero”.
Ricordiamo che c’erano già stati due blocchi precedenti, nel 1998 e nel 2008, senza considerare i ripetuti blocchi parziali e contributi di solidarietà che si sono succeduti in questi anni.
La sentenza nasce da un ricorso da noi sostenuto perché siamo stanchi di questi iniqui balzelli e di fare cassa per non meglio precisate esigenze del bilancio pubblico. Ci aspettiamo ora che la sentenza venga rispettata, in caso contrario, non resteremo con le mani in mano, contrasteremo ogni ipotesi di porre un limite di reddito per il riconoscimento di quanto legittimamente spettante.
I privilegiati non sono certamente i nostri pensionati. Le pensioni se le sono sudate versando tutti i contributi dovuti, generando benessere sociale nella ricostruzione di questo Paese e che oggi hanno il sacrosanto diritto di godersi una serena vecchiaia.
I veri privilegiati sono altri e sono coloro che, numerosi, percepiscono trattamenti cosiddetti pensionistici, ma che in realtà non sono frutto di versamenti contributivi o comunque di ammontare insufficiente a conseguire una vera pensione. Gli importi sono anche modesti, ma considerando che si tratta di vere e proprie regalie, queste si che possono essere definite “pensioni d’oro”.
Il neo Presidente dell’Inps ha attivato quella che lui chiama una “operazione trasparenza” pubblicando delle schede illustrative delle regole e dei conti dei Fondi speciali confluiti nell’Istituto (Fondo volo, ex Inpdai, ferrotranvieri, telefonici e da ultimo elettrici). La finalità è quella di dimostrare che gli iscritti a questi Fondi hanno goduto di trattamenti privilegiati all’AGO e che quindi dovrebbero essere messi in discussione.
Al di là dell’utilizzo improprio del sito di un Istituto pubblico e della agevole contestazione delle affermazioni contenute, ad esempio, per il nostro ex Istituto di previdenza, lascia perplessi il fatto che una vera operazione di trasparenza sarebbe dovuta partire dai settori messi peggio, vale a dire il pubblico e l’agricoltura (non stiamo parlando della vecchia mezzadria), ma anche artigiani e commercianti non brillano ed è interessante notare che per questi ultimi l’aliquota contributiva è ancora ferma al 22% rispetto al 33% di tutti gli altri.
Mentre per il settore privato, nel suo complesso, il disavanzo, pur in crescita rispetto al 2012 è di circa 2,8 miliardi, per quello pubblico infatti i miliardi di disavanzo diventano oltre 26. Fanno eccezione i professionisti e, può sembrare sembra paradossale ma non lo è, i cosiddetti para subordinati. Quelli della gestione separata, in maggioranza i futuri poveri, che di fatto tengono in equilibrio, o quasi, i conti (una sorta di bancomat che ha svolto in passato, prima della recente crisi, la gestione degli ammortizzatori sociali) e che avranno pensioni da fame quando verrà il loro turno.
Che ci sia malafede è dimostrato dal fatto che mentre per il settore agricolo si spiega che il disavanzo è dovuto principalmente al crollo del rapporto tra attivi e pensionati e che, invece, per i pubblici si dice che questo risultato negativo è l'effetto del blocco del turnover attivato in questi ultimi anni, quando si parla dei dirigenti industriali si cerca di dimostrare che il saldo contabile negativo della gestione ex INPDAI sarebbe generato dalle presunte condizioni di miglior favore applicate sui nostri trattamenti pensionistici.
Non viene dato risalto a quelle che sono le vere cause e cioè che dagli anni novanta ad oggi siamo scesi da circa 110.000 a circa 73.000 e che dal 2003 i nuovi dirigenti sono iscritti direttamente all'AGO. E’ quello che abbiamo detto al Presidente dell'Inps e dal quale attendiamo risposte.
Se non è mistificazione questa, è quanto meno pura demagogia e comunque un accanimento verso la categoria dei dirigenti industriali che non meritano per la loro storia e per il valore che, dal loro agire quotidiano, deriva per le imprese in cui operano e per la società in generale.
E veniamo ora al sistema retributivo di calcolo della pensione, reo di aver generato trattamenti pensionistici più favorevoli rispetto alla contribuzione versata e di cui avrebbero beneficiato non solo i redditi bassi ma anche quelli medio elevati.
Verrebbe da dire che si tratta di una reazione quanto meno tardiva visto che già nel 1996, con la riforma Dini, avrebbero potuto/dovuto passare tutti al sistema contributivo.
Invece ampi schieramenti politici e sindacali hanno difeso il mantenimento del sistema retributivo per i più anziani fino a quando è intervenuta la riforma Fornero con effetti dal 2012.
Premesso che non è detto che in tutti i casi questo sia vero, anche se mediamente è vero, ma coloro che sanno come si calcolano le pensioni col sistema retributivo, sanno perfettamente che coloro che ne hanno beneficiato maggiormente sono certamente i redditi bassi, essendo noto come i coefficienti di trasformazione in rendita pensionistica siano decrescenti al crescere della retribuzione. Se poi c’è l’idea di farlo solo a partire da un certo livello di pensione allora è evidente che stiamo parlando sempre di un ulteriore iniquo balzello.
Allora visto che si parla di equità, il citato rapporto evidenzia, come abbiamo più volte sostenuto, che su oltre 16 milioni di pensionati, ben 8,5 milioni, vale a dire il 52,2%, percepiscono prestazioni totalmente o parzialmente a carico della fiscalità generale. Tra questi ci sono 3,6 milioni di soggetti beneficiari dell'integrazione al minimo, 1 milione di beneficiari di maggiorazioni sociali, oltre 800.000 percettori di pensioni sociali.
In altre parole sono persone che durante l'intera vita lavorativa non hanno accumulato il numero minimo di anni di versamenti contributivi per ottenere una pensione regolare e che conseguentemente non hanno neanche pagato le imposte. Saranno pure importi modesti, ma frutto della solidarietà fiscale.
Visto che spesso sentiamo dire che in questo Paese si fa poca assistenza perché troppo viene speso in pensioni, questo non sarebbe vero se venisse scorporata l'assistenza dalla previdenza.
Non si fa perché emergerebbe una verità scomoda che farebbe crollare molte delle motivazioni che vengono utilizzate per sostenere interventi redistributivi prelevando le risorse laddove è più facile prenderle vale a dire da coloro che hanno redditi medio elevati, non scendono in piazza, e pagano onestamente i contributi e le imposte dovute fino all’ultimo euro.
Sono coloro, ça va sans dire, che si fanno carico dei circa 90 miliardi, ben 5,77 punti di PIL, una percentuale superiore alla spesa per il pagamento degli interessi sul debito pubblico, per coprire dalla fiscalità generale il disavanzo tra i contributi effettivamente versati al sistema previdenziale e la spesa complessivamente sostenuta.
E’ bene sapere, come evidenzia il rapporto, che circa 51,8 milioni di italiani pagano un Irpef media di 923 euro a testa, quando solo il servizio sanitario nazionale ne costa ben 1.800 di euro a testa! Inoltre il 52,81% dell' Irpef è a carico del 13,62% dei contribuenti e addirittura il 27,3% dell'Irpef la versa solo il 3,18% dei contribuenti.
Ci vuole poco quindi a immaginare chi sono i tartassati dal fisco. Lavoratori dipendenti e pensionati con redditi medio elevati. Vale a dire, prevalentemente noi, coloro che sono sempre presi a riferimento per fare cassa.
Di solidarietà redistributiva, in un Paese che ha il record dell’evasione fiscale e contributiva, i manager in servizio e in pensione ne fanno quindi già molta.
Le ricette per risolvere i problemi reali dell'occupazione e delle pensioni delle future generazioni sono diverse, richiedono interventi strutturali, di sistema. L'approccio non può essere contabile o attuariale e le risorse vanno cercate altrove. Ci sembra che i dati correttamente interpretati dicano inequivocabilmente che abbiamo già dato!