Il 22 marzo ci siamo sentiti ancora più europei. Più uniti perché feriti, nessuno escluso, al cuore della dimensione comune. Siamo stati profondamente scossi da una violenza che ha colpito simboli e corpi. In una città dove ormai ci sentiamo a casa. Oggi, a mente fredda, possiamo esaminare le risposte messe in campo dai Paesi membri e riconoscere le grandi falle che minano il processo di integrazione politica, economica e sociale comunitaria.
Interpreto la visione del nostro management che, per natura, è portatore di valori di solidarietà e di libertà. La solidarietà che si esprime come apertura alle diversità del mondo assieme a un profondo senso di responsabilità verso la società, verso chi ha e può meno. La libertà che si concretizza, sin dall’avvio del processo europeo, nel libero scambio, nella libera circolazione di merci e persone, nel libero pensiero, movimento ed espressione.
Immaginare un’Europa che, per esigenze di sicurezza, rinunci a questi due capisaldi porta essenzialmente a conseguenze regressive, che minacciano coesione sociale ed equilibri di mercato.
Il concetto di muro non appartiene alla logica del management europeo, che invece condivide l’esigenza di cogliere le opportunità ovunque esse siano, dando stimolo alla propria creatività, pensando in grande, innovando processi, idee e modelli. In questo senso l’esperienza e le competenze manageriali sono uno strumento per far fronte alle sfide e alle esigenze collettive in un’ottica di leadership che è anche sociale.
Sono 60 milioni le persone in fuga nel mondo. Il fenomeno migratorio è tutt’altro che un’eccezione nella storia del Vecchio Continente. Anzi, esso è un fenomeno strutturale. Con i dati aggiornati alla mano, forniti da Caritas Migrantes, la nostra organizzazione di solidarietà Vises Onlus ha tenuto a Roma il 15 marzo scorso un convegno sul tema. Relatori più autorevoli di me hanno spiegato che dietro alle circa 135.000 persone arrivate in Italia via mare in questi primi mesi del 2016, si nascondono principalmente povertà e squilibri economici. Di contro, è per lo più trascurato l’impatto positivo che questi flussi possono generare su un continente europeo che ha tassi di invecchiamento crescenti e tassi di natalità vicini allo zero.
Ripeto anche in questa occasione che, di fronte al terrorismo e alle reazioni difensive di chi pensa che la risposta giusta sia la marcatura alle frontiere, dobbiamo piuttosto considerare che l’arrivo di giovani stranieri, se ben governato, può rappresentare una ricchezza per tutti noi dal punto di vista sociale, economico e di sostenibilità futura dei sistemi di welfare.
I manager europei ne sono consapevoli. Alle qualità che ci contraddistinguono come categoria è dedicata un’iniziativa che stiamo promuovendo come Cida nell’ambito della CEC, la Confédération Européenne des Cadres, e che tra pochi giorni interpellerà anche i nostri associati per la costruzione di un “Manifesto dei Dirigenti Europei” che rappresenti la nostra identità valoriale e professionale.
La posizione dei colleghi sulle questioni più marcatamente sociali emerge chiaramente anche dall’ultima indagine conoscitiva avviata dalla CEC e che è stata presentata lo scorso 10 marzo proprio a Bruxelles. Intitolata “Il punto di vista dei manager europei di 12 Paesi sulle sfide e le crisi da oggi al 2019”, ha coinvolto più di 1.400 colleghi, territorialmente distribuiti tra i diversi Paesi tra cui l’Italia, ai quali è stato chiesto di esprimersi su 3 questioni: immigrazione, crisi del debito e misure di austerity, percezione pubblica dell’immagine del manager.
Interrogati sulla crisi umanitaria, i nostri colleghi si sono detti molto preoccupati dell’impatto dei flussi migratori sia sul processo di costituzione di un’Unione europea capace di trovare soluzioni politiche condivise sia sulla tenuta del suo stesso tessuto economico e sociale.
Se il terrorismo e la crisi dei rifugiati sono aspetti che portano a un progressivo indebolimento del meccanismo europeo, per i manager che vivono e lavorano in Europa la risposta non può essere rappresentata dalla ipotesi “Brexit” né dalla congetturata indipendenza della Catalogna. Secondo i nostri colleghi, l’unico percorso praticabile per realizzare l’integrazione europea è quello che persegue gli obiettivi di crescita, prosperità e pace in un contesto internazionale indubbiamente complesso.
Pertanto, condivido le affermazioni del collega Lumme Ramme, che guida la CEC: “non esiste di fatto alcuna valida alternativa all’Unione Europea che sia in grado di assicurarci soluzioni concrete ed effettive ai molti problemi che abbiamo oggi”.
Il nostro auspicio è che la voce dei manager europei su come affrontare queste sfide acquisti risonanza, rafforzando le fila di coloro che credono che la soluzione alla debolezza europea sia non meno, ma più Europa.