1.0 PREMESSA

1.1 I problemi vengono da lontano

Nel cercare di affrontare e risolvere i problemi relativi al futuro del Centro siderurgico di Taranto, occorre anzitutto premettere che molti dei nodi che si cerca di sciogliere vengono da molto lontano: basti pensare ai mancati investimenti ecologici da parte prima dell’ IRI e poi di RIVA nonostante la maggior parte di essi fossero già stati correttamente indicati da tempo come necessari; la costruzione del rione Tamburi a ridosso della stabilimento senza che nessuno ne abbia mai spiegato le ragioni.

1.2 Gli interessi parziali

Ai nodi di vecchia data, si sono poi aggiunte prese di posizione tutte legittime ma confliggenti tra loro e spesso esasperate da ambizioni (o velleità) politiche, senza che nessuno fosse in grado di proporre e imporre la sintesi che sarebbe spettata a una politica industriale italiana degna di questo nome. In particolare, lo scontro è avvenuto tra ambientalisti, sindacati e azionisti. Gli ambientalisti erano portatori di istanze vere e sentite ma non sempre supportate da dati scientifici inoppugnabili. I sindacati avevano e hanno la legittima istanza della tutela dei lavoratori, ma hanno spesso ceduto sia al rifiuto di qualunque discussione sul numero di lavoratori davvero necessari sia alla tendenza di immaginare che comunque sarebbe spettato allo Stato farsi carico di pagare gli stipendi o la cassa integrazione. Arcelor Mittal Italia (AMI) ha certamente perseguito il legittimo scopo di conseguire degli utili, ma ha poi cercato di fare marcia indietro rispetto agli accordi pattuiti quando la congiuntura ha reso difficile conseguire tali utili, come è invece normale per chiunque debba sottostare al rischio di impresa, fino a far sospettare che il vero obiettivo fosse l’eliminazione di un pericoloso concorrente. Eppure, tutte le forze politiche ed economiche italiane convengono che in un paese industriale e manifatturiero come l’Italia non si possa fare a meno di una produzione siderurgica interna e di qualità, pena il rischio di essere ricattati e strangolati anche a livello manifatturiero, considerazione che peraltro si applica anche ad altri settori strategici come l’energia e la chimica. E’ mancato insomma qualcuno capace di indicare chiari obiettivi di politica industriale e soprattutto qualcuno in grado di “suggerire” con le proprie competenze quali fossero tali obiettivi da perseguire e soprattutto capace poi di tradurli in pratica a livello di project management, e di proposte tecniche e finanziarie. E’ mancata insomma una figura impiantistica come l’ITALIMPIANTI, protagonista all’
interno dell’IRI della pianificazione siderurgica e della successiva realizzazione degli impianti ma ormai da decenni defunta a causa di scelte miopi o forse lucidamente autolesioniste.

1.3 La nostra idea

A un gruppo di Dirigenti iscritti a Federmanager, tutti ex ITALIMPIANTI, è allora venuta l’ idea di mettere assieme le proprie competenze e di provare a ragionare come avrebbe ragionato l’ Azienda impiantistica genovese, e cioè in modo sistemico, senza pregiudizi, non facendosi guidare da considerazioni legate alla volatilità dei cicli congiunturali ma pensando al medio – lungo periodo, cercando di tenere conto in modo equilibrato di tutti gli interessi in gioco e soprattutto partendo da un punto fermo: la necessità per il nostro paese di continuare ad essere dotato di un’industria siderurgica a ciclo integrale pur ecologicamente sostenibile. Naturalmente non avevamo e non abbiamo a disposizione l’incredibile know-how costituito dal sapere di duemila colleghi, ma riteniamo di essere comunque giunti a conclusioni affidabili, sensate e soprattutto basate su considerazioni tecniche razionali. In estrema sintesi questi sono i capisaldi che saranno sviluppati nei prossimi capitoli in modo più dettagliato e documentato:

a  Occorre ripristinare e rendere non modificabile retroattivamente lo “scudo penale” a protezione di chi si accingerà all’ immane compito del risanamento ambientale del centro siderurgico di Taranto.

b  Va completato in modo rigoroso quanto previsto dall’ AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), creando e strutturando un team di coordinamento di alto profilo, dotandolo di tutti i relativi poteri di controllo e verificando la disponibilità delle necessarie risorse finanziarie; il piano deve traguardare nel lungo periodo l’obiettivo “carbonio zero”, sapendo però che tale obiettivo richiederà tempi lunghi e forse lunghissimi e tappe intermedie che
però dovranno far registrare miglioramenti chiari, continui e misurabili; infine, va detto che non tutti i problemi ambientali riguardano le emissioni di carbonio e il polverino, ma che vi sono altri inquinanti chimici forse ancora più nocivi che vanno considerati e progressivamente eliminati (NOx, diossine, polveri sottili).

c  Vanno altresì pianificati e realizzati importanti interventi di manutenzione straordinaria sugli impianti esistenti, in quanto trascurati da decenni, sia per ottenere migliori risultati produttivi sia per meglio tutelare la sicurezza.

d  Va tutelata l’occupazione sia definendo organici che siano ottimali rispetto ai livelli di produzione stabiliti e quindi siano posti di lavoro davvero sicuri, sia definendo strumenti di accompagnamento e reinserimento per coloro che non rientreranno in tale numero, evitando posizioni sterilmente massimaliste.

e  Va ribadito che occorrerà certamente un corposo intervento pubblico, a livello italiano ed europeo anche utilizzando le possibilità offerte dal “green deal”, ma che tale intervento sarà meglio utilizzato se avverrà a sostegno di un progetto industriale sano e a supporto di parti di ciclo produttivo più pulite e tecnologicamente innovative ma ad elevato rischio industriale e, inizialmente, non in equilibrio economico piuttosto che per sostenere indefinitamente la cassa integrazione di dipendenti senza alcuna prospettiva di rientro. Sulla base di questi “capisaldi”, è stata scelta e viene descritta nei capitoli successivi una soluzione impiantistica che prevedrà, a valle degli interventi ecologici, tecnologici e normativi sopra richiamati, due parti aventi rispettivamente le seguenti caratteristiche

  Una prima parte basata sul ciclo integrale tradizionale, imperniato su Altoforni (AFO) 4, e 5 e in grado di produrre complessivamente circa 6 Mt/a.

  Una seconda parte di stabilimento basata sul ciclo Riduzione Diretta-Forno Elettrico DRIEAF in condizione di produrre circa 2 Mt/a ove si prevedano sostanziali contributi pubblici europei (“green deal”) ed italiani sia a copertura dell’investimento iniziale che della parte di costi di esercizio inizialmente non in equilibrio. Lo stato italiano dovrebbe intervenire in forme da definire a sostegno della quota di esuberi strutturali non riassorbibile dalla parte innovativa dello stabilimento. Andranno anche stabilite forme di coordinamento e collaborazione, tra i soggetti che saranno individuati per la gestione della realtà produttiva.

Non si prevedono invece interventi rilevanti sulle aree di laminazione, in quanto sostanzialmente compatibili col nuovo assetto impiantistico; per il futuro, ove il ciclo DRI-EAF risultasse economicamente solido anche grazie ai prevedibili miglioramenti della tecnologia, si potranno prevedere ulteriori modifiche del ciclo impiantistico riducendo progressivamente la produzione da AFO ed aumentando la quota carbon free, modificando contestualmente anche la eventuale presenza azionaria pubblica con l’ auspicabile ingresso di attori privati. Va altresì rimarcato che l’insieme degli interventi previsti e dettagliati nei capitoli seguenti richiederà approssimativamente 36 mesi per essere completato, ma naturalmente a partire dal momento in cui tutti gli accordi, gli assetti societari, i contratti e le decisioni politiche e industriali necessarie fossero state prese.
Per quanto riguarda la Liguria, e gli stabilimenti di Cornigliano e di Novi, questo studio non ne tratta espressamente, ma abbiamo verificato e siamo convinti che la realizzazione del progetto che descriviamo consentirebbe il pieno utilizzo e la piena occupazione negli impianti esistenti. Si fa notare infine che al momento né lo Stato attraverso il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), né ILVA in liquidazione né AMI sembrano dotate delle strutture ingegneristiche e di project management necessarie per gestire e controllare un progetto così complesso e articolato; questo fatto, che nessuno per ora ha preso in considerazione, potrebbe rivelarsi drammaticamente grave. Stimiamo infatti, sulla base della nostra consolidata esperienza e della stessa partecipazione alla realizzazione di Taranto, che per la gestione di questo progetto vada creata una struttura
multidisciplinare composta di non meno di 100/150 specialisti, in parte provenienti dallo stabilimento e in parte di comprovata esperienza impiantistica; a tal fine ricordiamo che esistono tuttora, sia pure sparse tra varie aziende o in quiescenza, competenze eccellenti e con vasta conoscenza delle problematiche relative allo stabilimento ex ILVA e delle tecnologie necessarie per l’esecuzione dell’ambizioso progetto illustrato in questo documento. Sarà inoltre di importanza strategica prevedere percorsi formativi rivolti agli addetti sia sulle nuove tecnologie (es: RD e EAF), sia sugli impianti esistenti ammodernati. Il tutoring dovrà essere di responsabilità composto da personale di provata esperienza sia in progettazione che produzione.