La trasformazione dei sistemi economici in sistemi “sostenibili”, anche dal punto di vista ambientale, impone una profonda riflessione su quali siano i modelli da scegliere per il futuro del nostro Paese. Lo studio “Transizione verde e sviluppo, Può l’economia circolare contribuire al rilancio del sistema Italia?” contribuisce al dibattito sull’individuazione delle tecnologie migliori sotto il profilo economico ed ambientale per il conseguimento degli obiettivi energetico-climatici che l’Italia si è impegnata a perseguire.
Tale studio, il terzo della collaborazione tra Federmanager e Aiee, si concentra sull’esigenza che la politica energetico-ambientale e la politica industriale siano finalizzate ad accelerare il percorso di decarbonizzazione del nostro Paese, puntando sullo sviluppo delle filiere produttive nazionali grazie a una visione precisa di futuro e con il contributo fondamentale dell’innovazione, della ricerca e della massima razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse.

Con il processo di decarbonizzazione, se da un lato si ridurrà l’utilizzo di combustibili fossili, incrementando l’uso di energie rinnovabili e di nuove tecnologie, dall’altro aumenteranno notevolmente i “nuovi rifiuti” provenienti dal fine-vita di tali tecnologie (turbine, pannelli solari, pompe di calore, batterie, ecc.). Lo sviluppo di una politica orientata all’economia circolare può consentire il riutilizzo di molti di questi materiali ed apparecchiature, rappresentando una sfida in termini di sviluppo del nostro sistema industriale. Le batterie per autotrazione, per esempio, possono essere rigenerate e riutilizzate nel settore dello stoccaggio, prolungandone la vita e consentendo di ridurre il fabbisogno globale di litio e cobalto. Anche per quanto riguarda le componenti delle turbine eoliche e dei moduli solari, visto l’imminente repowering di alcuni impianti, occorrono tecnologie che siano in grado di separare i materiali e recuperarli in modo efficiente e redditizio.

Lo studio analizza alcuni dei filoni sui quali bisognerebbe maggiormente impegnarsi con una politica attiva e condivisa. Ad esempio, esaminando uno scenario di “Energy Recovery”, si approfondisce il tema della conversione dei rifiuti in calore, elettricità o combustibile, attraverso una varietà di processi tra cui combustione, gassificazione, pirolizzazione, digestione anaerobica e recupero di gas di discarica, sottolineando la necessità di migliorare gli strumenti economici esistenti per stimolare gli investimenti in questo settore.
Da sottolineare, inoltre, quanto sud e centro Italia abbiano bisogno di interventi per la gestione dei rifiuti, trovandosi spesso a esportarli al nord Italia o all’estero non riuscendo a gestirne un corretto smaltimento. Le regioni in difficoltà necessitano di interventi strutturali per la soluzione del problema, sfruttando soluzioni tecnologicamente avanzate e di nuova generazione.
Da questo punto di vista, i pirolizzatori potrebbero rappresentare una possibile soluzione in grado di realizzare il cosiddetto “plastic to fuel”. In questi impianti i rifiuti vengono trattati attraverso la dissociazione molecolare, processo di degradazione termica in assenza di ossigeno, sottraendo considerevoli quantità di CO2 all’ecosistema rispetto all’utilizzo delle tecniche convenzionali.

L’idea alla base del processo “plastic to fuel” è quella di trasformare la plastica non riciclabile in energia, utilizzando l’energia elettrica rinnovabile proveniente da fotovoltaico (o ricavata dal syngas) ed in grado di produrre combustibili liquidi. Secondo stime accreditate, per ogni tonnellata di plastica non riciclabile raccolta si possono produrre circa 800 litri di carburante e il carburante fornito ha un costo di 25 dollari al barile (tra un terzo e metà prezzo rispetto al greggio).
In Italia (con riferimento alla plastica prodotta e raccolta nel 2016) se i rifiuti di plastica (circa 1,3 milioni di tonnellate) fossero stati raccolti utilizzando il processo di pirolisi anziché le discariche, sarebbero state prodotte circa 1 milione di tonnellate di combustibile (1 miliardo di litri) con un margine pari a 25 milioni di euro.
La gestione efficace dei rifiuti, considerati risorse in un’ottica circolare (Cash from trash), risulta perciò essere un punto chiave nel processo di transizione verso uno scenario di recupero degli stessi anche dal punto di vista energetico. Secondo il Centro studi CESISP in Italia si potrebbe risparmiare fino a 700 milioni all’anno sulla tassa dei rifiuti oggi attestata sugli 800 € ca. a tonnellata. È quindi fondamentale coordinare progetti ed investire in R&S al fine di trovare nuove soluzioni tecnologiche che siano in grado di recuperare in modo efficiente le materie prime tramite la differenziazione e la trasformazione dei rifiuti e anche il calore prodotto dai processi di trattamento degli stessi.

Il recupero delle materie prime è una opportunità non solo per l’ambiente ma anche per l’economia: secondo una valutazione della Ellen Mc Arthur Foundation, la transizione verso un’economia circolare potrà consentire all’Europa un risparmio netto annuo fino a 640 miliardi di dollari sul costo di approvvigionamento dei materiali per il sistema manifatturiero dei beni durevoli. Per l’Italia, particolarmente povera di risorse naturali, questo è un aspetto molto importante. In questa prospettiva, va espresso l’invito ai policy maker ad incentivare le possibili sinergie tra politica ambientale e politica industriale, investendo sull’istruzione e la ricerca pubblica, sostenendo la ricerca e l’innovazione privata e, di conseguenza, ottenere ricadute significative anche in ambito occupazionale.
In questa prospettiva, un ruolo determinante potranno giocare gli strumenti attivati a livello europeo anche in funzione di contrapposizione alla concorrenza extra-UE su temi strategici quali le batterie per usi automobilistici e per lo stoccaggio di energia elettrica, le filiere innovative del comparto delle rinnovabili e l’efficienza energetica. Lo testimonia la svolta verde del “Green New Deal” annunciato dalla Commissione von der Leyen che prevede un pacchetto di risorse per sostenere gli investimenti per la neutralità climatica e l’economia circolare fino a 1.000 miliardi in 10 anni.

In questo scenario, che evidenzia le tante opportunità offerte dall’affermazione dei criteri dell’economia circolare, si avverte la necessità di manager competenti che abbiano le conoscenze richieste da un mercato in continua evoluzione, per mettere a punto progetti sostenibili e i conseguenti processi produttivi. Non servono solo tecnici capaci di districarsi tra i vincoli della burocrazia e delle normative stratificate, ma professionalità in grado di guidare l’innovazione, da formare adeguatamente, specie in un sistema industriale come il nostro, costituito prevalentemente da PMI, ad oggi non attrezzate per questo obiettivo. A tal fine Federmanager ha attivato specifici percorsi di certificazione delle competenze, pensati per una nuova figura professionale: il “manager per la sostenibilità”, un agente di cambiamento in grado di incidere all’interno della propria organizzazione in termini di innovazione sostenibile.

Per quanto riguarda il capitale umano, Eurobarometro nel 2017 ha calcolato il numero medio di dipendenti per impresa impiegati in lavori verdi nelle PMI nell’UE28. Il valore medio europeo risultante dal sondaggio, è stato 1,68. L’Italia, con 1,49, è al di sotto della media europea mentre la Germania ha raggiunto un valore medio pari a 2,5. In Italia, quindi, si deve aumentare il coinvolgimento delle PMI nel settore delle attività verdi e del miglioramento ambientale.
Non avere saputo programmare, negli anni, una politica industriale finalizzata a uno sviluppo sostenibile è una delle ragioni delle difficoltà del nostro Paese e della mancata preparazione del nostro tessuto produttivo nei settori della decarbonizzazione, caratterizzati da un numero limitato di aziende di dimensioni ridotte. Nello scenario di maggiore implementazione dell’economia circolare, invece, da qui al 2030, secondo la valutazione di Enea e Confindustria, si potrebbe arrivare ad un incremento di oltre 540.000 posti di lavoro, a fronte di un incremento di soli 35.000 unità nel caso di uno scenario inerziale.