Il 3 novembre 2010, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 316/2010 , pronunciandosi in merito alla incostituzionalità del blocco della perequazione stabilito per l'anno 2008 dal Governo Prodi per le pensioni superiori ad 8 volte il minimo INPS, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, ad aprile 2009, dal Tribunale di Vicenza.
La Corte ha motivato la propria decisione evidenziando lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle pensioni di anzianità. La mancata rivalutazione dei predetti trattamenti ha concorso, infatti, a compensare l'eliminazione dell'innalzamento del requisito anagrafico a 60 anni, a decorrere dall'1.1.2008, dell'età minima per l'accesso alla pensione di anzianità (c.d. "scalone" previsto dalla precedente riforma Maroni). Sotto questo profilo, quindi, la norma impugnata, sarebbe immune da vizi di ragionevolezza. A tale proposito, la Corte ha confermato la discrezionalità del Legislatore, col solo limite della palese irrazionalità nello stabilire la misura dei trattamenti pensionistici e le variazioni dell'ammontare delle prestazioni, contemperando i valori delle esigenze di vita dei beneficiari con quelle di bilancio pubblico. Tuttavia, in questa sentenza, la Corte pone finalmente un monito al Legislatore allorquando, concludendo le motivazioni, segnala che "la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità (su cui, nella materia dei trattamenti di quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e n. 349 del 1985), perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta". |
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