L’etica e i valori possono convivere con il business? Per troppo tempo abbiamo ritenuto erroneamente che questo binomio critico fosse costituito da termini antitetici. L’etica e i valori tenderebbero, infatti, per loro natura a guardare alla prospettiva di lungo termine, mentre l’impresa, sollecitata dai ritmi dell’evoluzione dei mercati avrebbe il fiato corto. E’ così accaduto che la finanza ha soffiato sulla speculazione travolgendo ogni regola, fino a provocare lo shock di una lunga crisi, dagli esiti ancora incerti.
In realtà come dimostra il dibattito internazionale e le ricerche più recenti è proprio l’azienda “etica”, aperta al sociale, capace di affermare la centralità della persona, prima che del dipendente che riesce meglio a sviluppare un rapporto positivo con il territorio, il mercato e gli stakeholders, risultando più competitiva e flessibile.
Si stanno intensificando le analisi e gli studi sul rapporto tra il mercato come istituzione economica, il benessere, le attività di relazione e le virtù civili. Si è sempre più alla ricerca di un nuovo approccio dove i rapporti economici possano essere compatibili con una rete di regole sociali, norme, comportamenti e motivazioni che una visione ristretta ha per troppo tempo espulso da una comprensione esatta del funzionamento dell’economia e delle imprese.
Il Codice Etico-Valoriale di Federmanager rientra in questa nuova sensibilità culturale che tende a considerare l’etica, come la disciplina che ispira il dialogo sociale, nel quale si costruiscono, in un continuo processo di collaudo e di aggiustamento, i valori e le regole attorno a cui i singoli e i gruppi, ai più diversi livelli, danno forma alla vita organizzata.
Insieme a quelli sanciti nelle Carte sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, i principi che rappresentano l’asse fondativo del Codice Etico sono da individuare nella nostra Carta Costituzionale, che afferma solennemente, il rispetto dell’uomo e dei suoi diritti inalienabili; l’impegno che ogni individuo deve dedicare al servizio del bene comune; la promozione di un modello di convivenza sociale inclusivo e rispettoso della diversità plurale e dell’esigenza di promuovere la più ampia partecipazione democratica ai processi decisionali.
Il focus dell’impianto è individuabile nel riconoscimento del ruolo strategico del manager. Un riconoscimento che non discende da un’affermazione apodittica, ma da un processo logico – discorsivo, radicato sulla consapevolezza della complessità del contesto in cui dirigenti e imprese sono costretti ad operare.
L’impegno ad operare nel rispetto delle leggi e dello Statuto dell’Associazione territoriale di appartenenza, nonché il richiamo alla “nota di intenti”, fa comprendere molto bene come le donne e gli uomini che aderiscono a Federmanager siano espressione di una dimensione etico – valoriale, orientata al perseguimento di un modello funzionale nelle imprese e anche al di fuori della stessa.
Un modello che, nell’ottica di Federmanager, dovrà continuare ad evolversi, anche nell’ambito delle relazioni industriali, per tramutarsi in un “fattore competitivo essenziale”, utile a riavviare il motore della crescita. Termine “forte” è il merito, interpretato non solo come effettiva capacità personale, quanto come “virtù sociale” decisiva per lo sviluppo dell’impresa, ma soprattutto essenziale per la competitività di tutto il sistema – Paese.
Un profondo senso della comunità e dei territori ha, in particolare, animato, l’elaborazione del nostro Codice. Associazioni e imprese non operano infatti nel vuoto sociale, esiste una dimensione della responsabilità che implica una tensione morale che deve permeare l’impresa, le istituzioni e la società.
Non può non tornare alla mente la lezione (in questi ultimi tempi richiamata non a caso in diversi ambiti ) di imprenditori della tempra di Olivetti, Ferrero, che hanno saputo anteporre, con straordinaria lungimiranza all’avidità e all’ignoranza, figlie di un vecchio e declinante paradigma, la logica di un “capitalismo altruista” dal volto umano, attento nel promuovere l’uomo con il capitale della sua intelligenza.
Quel vecchio modello di sviluppo ha ceduto il passo a un “nuovo vocabolario” che ha nello stare “Insieme”, nella misurazione della felicità e del benessere esistenziale, che travalica lo stretto recinto del PIL il punto fondamentale di un’analisi che sta rimettendo finalmente al centro delle attenzioni i valori dell’eguaglianza, della giustizia, sociale, della sviluppo. Il successo futuro dipenderà dalla capacità di calibrare tutela, sicurezza e libertà, nell’orizzonte del lavoro.
Una chiave importante è costituita dai “comportamenti agiti” che dovranno sempre più aprirsi alla realizzazione di un obiettivo riconoscibile in un bene sociale, in relazione a quella “visione d’insieme” che deve costantemente ispirare l’azione di dirigenti e manager. La conoscenza è il perno indiscutibile attorno a cui si potrà costituire un patrimonio collettivo di saperi e buone pratiche. Ciascun attore, nelle varie organizzazioni in cui opera, dovrà con generosità mostrarsi disponibile a trasferire il proprio know-how, in senso orizzontale, dialogando con i colleghi e, in senso “verticale”, cercando un confronto intergenerazionale, sistematico e costruttivo.
Quanto i dirigenti, donne e uomini, siano maturi per vivere questa “nuova fase del capitalismo” appare anche evidente se si vanno a leggere con attenzione i dati della recente ricerca (cfr. Risorse Sovrumane, ed. Franco Angeli) che abbiamo promosso, che mostrano con chiarezza come il manager di oggi sia meno attento alla carriera, ma anche meno legato al denaro, decisamente maturo per far prevalere il merito come virtù sociale nella prospettiva di un’impresa plurale.
Sta emergendo un’importante dialettica tra la "persona" e il "ruolo", questa polarità fa vedere il profilo a tutto tondo di un manager che vuole riconciliare vita e lavoro, dimostrando come l'identità, in coerenza con quanto esplicitato dal Codice Etico non sia più leggibile come una “monade senza né porte né finestre”, chiusa, rigida, quanto piuttosto come una superficie relazionale, “porosa”, aperta all’inclusione e al confronto.
Credo, infine, che l’approvazione del Codice Etico – Valoriale di Federmanager sia anche un’occasione importante per riflettere sulla salute complessiva del nostro sistema delle imprese, che è fatto di persone, prima che di organizzazioni e istituzioni. Occorre ridare forza a un progetto di coesione e di tenuta dell’”azienda Italia” considerata nel suo complesso.
Solo così potremo fondare un realistico progetto di rilancio capace di rispecchiare un contratto sociale laico ed eticamente orientato, rispondente alle esigenze di una realtà globalizzata, sempre più scossa dalla paura del declino, quando non totalmente abbacinata da un futuro, che tutti vorremmo fosse meno carico di incognite. Se c’è stato un vulnus nel nostro capitalismo è sicuramente da individuare prima di tutto nell’eclissi dei valori, che ha finito con lo spogliare l’Europa e l’Occidente del sogno dei padri fondatori, svelando il volto asfissiante di una gabbia tecnocratica, priva di anima.
La prospettiva di un “capitalismo altruista”, di cui molto si sta parlando, non potrà che avere un duplice pilastro: l’industria che rimane il nucleo portante e i valori, individuali e collettivi, che filtrati dalla storia e dalla tradizione, sono lo strumento di cui dobbiamo dotarci per trovare una sintesi virtuosa tra memoria e futuro.