Warren Buffett, 84enne imprenditore ed economista americano considerato il più grande value investor di sempre, sosteneva che “Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione: bastano 5 minuti per rovinarla”. (citazione)
La questione della reputazione non è nuova, ma assume oggi una valenza diversa: è una componente fondamentale del patrimonio valoriale delle aziende e degli individui che ne sono interpreti, a partire dal management, anche al di fuori delle stesse realtà organizzate.
Il tema è stato dibattuto in un Convegno molto interessante che Assidipost/ Federmanager e la Fondazione proPosta hanno tenuto lo scorso 26 ottobre presso la sede federale. Il convegno, molto affollato, è stato chiuso dall’intervento del Ministro dell’Interno, on. Angelino Alfano.
Sostenibilità e business non sono ossimori. Anzi, la sostenibilità è la chiave del successo del business. Le sfide ambientali, come quelle sociali, non sono più ostacoli bensì opportunità per vincere la concorrenza e tutte le aziende, quantomeno quelle più importanti, si pongono l’obiettivo di rilanciare la responsabilità sociale d’impresa come driver di business e sono impegnate a individuare gli strumenti utili all’integrazione della sostenibilità nel business.
Diventando strategica, la responsabilità sociale impatta sulla governance delle imprese e influenza il board e il management. Attenzione, la sostenibilità non è filantropia ma è innanzitutto business, con la ricerca di soluzioni che creano profitto ma portano valore per la società.
Gli asset di un’azienda sono composti infatti in stragrande maggioranza da valori intangibili. Quindi, reputazione, impatto ambientale, stile di gestione dei lavoratori, i rapporti con gli stakeholder ne sono parte integrante. Ma cosa è cambiato?
Fino a qualche tempo fa, si poteva anche pensare di farla franca. Oggi siamo tutti connessi e un passo falso finisce immediatamente nella “rete” senza “rete” generando danni d’immagine e di reputazione che inevitabilmente si ripercuotono sull’azienda.
Stesso discorso vale per le persone che devono dedicare tempo, strumenti e attenzione a questo tema che riguarda la vita pubblica ma anche quella privata, più intima di ciascuno.
Stiamo vivendo un’epoca storica in cui le relazioni sono la forza motrice dell’esistenza di un soggetto. Essere credibili, affidabili e autorevoli, avere quindi una reputazione positiva, significa avere un biglietto da visita in grado di incidere positivamente nelle relazioni.
La reputazione è una sorta di capitale individuale e sempre più spesso si utilizza la rete, i social network, come vetrina di se stessi per condividere nuove relazioni e per nuove opportunità di lavoro. Anche molte aziende fanno selezione oggi consultando la rete: uno strumento che consente di avere più informazioni possibili che vanno anche al di la del curriculum per cercare la persona giusta ed evitare l’inserimento di un collaboratore che possa nuocere anche in termini reputazionali.
La reputazione è il risultato di un lungo, difficile e paziente lavoro di rafforzamento del consenso profondo da costruire nel tempo ma che oggi deve fare i conti con la vera grande rivoluzione “democratica” della cosiddetta Digital Age generata dai social network (Facebook, twitter, Linkedin, i blog), dando la possibilità, a chiunque, di diffondere i propri contenuti e commentare quelli degli altri senza filtro.
La reputazione deve essere gestita professionalmente. Le aziende si dotano di specifiche figure come quella del reputation manager, ma ciascuno deve essere tale per se stesso.
La web reputation si utilizza sia per elaborare strategie di marketing e di comunicazione sia anche per avere la misurazione della propria “situazione”. Ovvero, la reputazione che una determinata organizzazione o un brand o un individuo ha in rete, generata da commenti, articoli, recensioni, immagini, etc…, che appaiono sul web (siti, blog, community, forum ecc.).
Dobbiamo essere “in rete”, ma non la sottovalutiamo e gestiamola con attenzione e professionalità.