ll nostro servizio previdenza offre un audit approfondito per aiutare i manager alle prese con il doppio incarico
Nel percorso professionale di un manager può presentarsi la possibilità di rivestire, all’interno della medesima società, un incarico dirigenziale unitamente al ruolo di amministratore o consigliere delegato. Regolare al meglio le condizioni di un rapporto di lavoro svolto durante un mandato da amministratore significa non commettere errori che possano pregiudicare l’importo o il diritto stesso della pensione futura.
Ma la “convivenza” tra i due incarichi è davvero possibile?
Sì, ma facendo ben attenzione a un criterio interpretativo di riferimento, confortato negli ultimi anni da alcune pronunce della Suprema Corte di Cassazione: la compatibilità tra le due figure è consentita quando l’incarico dirigenziale sia effettivamente sottoposto a un vincolo di subordinazione, che si sostanzia nell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente.
Qualora la subordinazione del dirigente venga meno, invece, come è evidente ad esempio nel caso della contestuale carica di amministratore unico, i due incarichi risultano incompatibili.
Ma cosa succede nel caso in cui un manager sia dirigente e Ad della stessa società senza avere osservato le opportune precauzioni di conciliazione fra i due incarichi?
Una recente pronuncia dell’Inps – messaggio n. 3359/2019 – ha affrontato il tema, esplicitando la necessità di valutare la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione all’Ad.
Infatti, precisa l’Istituto, “nelle ipotesi in cui l’amministratore sia munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione si ritiene che sia esclusa la possibilità di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società per detto soggetto”.
Conseguenze sulla contribuzione versata e sul calcolo della pensione
Se viene dunque disconosciuto il rapporto di lavoro subordinato, tra le conseguenze immediate vi è la restituzione della contribuzione versata erroneamente al fondo pensionistico dei dipendenti alla società, la quale liquida direttamente le somme spettanti al manager.
Nel 2012 l’Inps – con messaggio n. 9869/2012 – aveva già chiarito che se il versamento dei contributi avviene senza obbligo assicurativo, poiché non sussiste nei casi sopra illustrati la possibilità di rivestire al contempo un ruolo di lavoratore subordinato durante la carica di amministratore, la contribuzione versata può essere annullata senza limite temporale, comportando un prosciugamento dei contributi versati durante il mandato da amministratore nel fondo dei dipendenti.
Nell’esame dei singoli casi, qualora sia riscontrato un intento doloso, non si dà seguito ad alcun rimborso. Diverso è il caso della buona fede, quando la contribuzione diventa rimborsabile su domanda del datore di lavoro nel limite prescrizionale degli ultimi dieci anni: le somme erogate come retribuzione possono essere, in questo caso, riclassificate come compensi dell’amministratore, con traslazione dei contributi dal Fondo pensione lavoratori dipendenti alla Gestione Separata. Grazie al cumulo contributivo gratuito, inoltre, viene mantenuta la contribuzione in termini di diritto, senza quindi ritardare l’accesso alla pensione anticipata.
Tuttavia, oltre al ricalcolo con il metodo contributivo applicato in qualsiasi caso nella Gestione Separata, alle retribuzioni trasferite nella nuova gestione sarà applicato il massimale contributivo (per il 2020 pari a 103.055 euro).
Gestione Separata: maneggiare con cautela
In concreto, il versamento retroattivo alla Gestione Separata (obbligatoria per consiglieri e amministratori che non siano iscritti ad albo professionale) “salva” grazie al cumulo contributivo il diritto alla pensione, ma determina tuttavia anche un drastico abbattimento della stessa. Dal 1996 per moltissimi dirigenti, e dal 2012 per tutti, le pensioni Inps sono infatti calcolate con il metodo contributivo che trasforma i contributi versati in pensione; per i dirigenti che abbiano almeno un contributo anteriore al 1996 con retribuzioni lorde notevolmente superiori ai 100.000 euro annui, il ‘travaso’ in Gestione Separata comporta un abbattimento nella contribuzione tale da arrivare anche a dimezzare la futura pensione.
Alla luce di questi rischi, prima della delibera della carica di amministratore, andrà condotto un audit approfondito sui futuri testi degli atti societari e del contratto di assunzione dirigenziale per comprendere le responsabilità connesse all’incarico dirigenziale e quelle proprie della carica societaria, rendendo questa convivenza “blindata”.
I nostri esperti sono a disposizione degli associati per garantire tutte le necessarie attività di audit.
Servizio previdenza Federmanager in collaborazione con Antonello Orlando