Un piano di welfare aziendale ben strutturato può consentire ai manager di ricevere benefit esenti da tassazione. E conviene più di un premio di risultato
Da qualche anno i datori di lavoro, soprattutto nei contesti di grandi dimensioni, ricorrono sempre più di frequente al “welfare aziendale”.
Tuttavia, dietro questa dicitura si celano diversi istituti.
In particolare, quello che registra maggiore diffusione è probabilmente il premio di risultato, stabilizzato e codificato nel nostro ordinamento dalla legge di stabilità del 2016. Va considerato però che, per la platea dei manager, l’introduzione del premio di risultato detassabile non ha rappresentato un elemento di forte interesse.
Questo perché la possibilità di godere di un premio detassato al 10%, fin dal primo testo della l. n. 208 del 2015, è stata legata a una soglia di redditi di lavoro dipendente a tassazione ordinaria (nell’anno precedente a quello della applicazione della agevolazione fiscale) prima prevista in 50 mila euro e, dal 2017, fissata in 80 mila euro, al netto del prelievo contributivo a carico del dipendente.
Più di un Esecutivo si era ripromesso di innalzare la soglia per permettere definitivamente lo sdoganamento del premio detassabile anche a favore di soggetti dal maggior potere d’acquisto, come i dirigenti; in attesa di questa auspicabile riforma, possono essere individuate specifiche aree di incentivazione retributiva agevolata dal punto di vista fiscale anche per manager, sfruttando il cosiddetto ”welfare puro”.
Perché il “welfare puro” è una buona alternativa al premio di risultato
Per “welfare puro” intendiamo l’assegnazione di un ‘credito’ aziendale, non legata a un premio di risultato da godere obbligatoriamente sotto forma di opere o servizi ‘tutelati’ dalla nostra normativa fiscale, direttamente riconosciuta a tutti i lavoratori o a una determinata categoria senza alcuna condizione da realizzare.
Si tratta di una forma incentivante, innovativa per la platea dirigenziale, che può agevolare il datore di lavoro a contenere i costi indiretti generati dagli emolumenti in denaro.
Non va dimenticato infatti che qualsiasi bonus o premio assegnato al dirigente si traduce sempre in un’ulteriore spesa indiretta, generata dal costo contributivo prevalentemente a carico del datore di lavoro e con una forte pressione fiscale sopportata dai dirigenti, a causa della loro elevata aliquota marginale Irpef (pari al 43%, al netto delle addizionali, per quanto viene percepito oltre i primi 75 mila euro annui).
Come si costruisce un vantaggioso piano di welfare
La soluzione può allora essere rappresentata da un piano di welfare, da proporre con accordo sindacale o anche solo attraverso un regolamento unilaterale siglato dal datore di lavoro e specificatamente dedicato ai manager e ai dirigenti. Certo è che le modalità di previsione di tale piano, specie in merito alle obbligazioni assunte dal datore di lavoro, dovranno essere esaminate alla luce degli obiettivi di completa o limitata deducibilità fiscale dei costi, applicando l’articolo 95 o 100 del Testo unico sulle imposte sui redditi.
In particolare, l’amministrazione finanziaria ha chiarito in più occasioni come un piano di welfare che offra in modo liberale un paniere di beni e servizi rientranti nell’alveo di quelli non concorrenti al reddito (secondo le singole previsioni dell’art. 51 del Tuir, con particolare riferimento al comma 2) sconterà un unico vero limite: quello di essere rivolto o alla generalità dei dipendenti o a una loro categoria omogenea.
Sul punto, vanno tenute da conto le osservazioni emerse con la risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 10 del 25 gennaio 2019, che ha bocciato l’identificazione di una categoria omogenea “debole” (identificata nel caso di specie nei pochissimi manager della piccola azienda interpellante). L’inconsistenza di tale categoria risiedeva nel fatto che accogliesse al suo interno solo l’amministratore unico e il direttore di sala.
Mancando di un reale vincolo di subordinazione, l’Agenzia ha escluso l’applicabilità all’amministratore unico del beneficio della non concorrenza reddituale dei beni in natura previsti dal regolamento, negandone l’applicabilità anche al direttore di sala, lavoratore subordinato, ma destinatario rimasto unico componente della categoria richiedente il beneficio della esenzione fiscale e contributiva.
Tanti vantaggi e un’unica perdita per i manager
In un’azienda con decine o anche centinaia di dirigenti istituire un piano di welfare per dirigenti, anche con differenti fasce reddituali e corrispondenti elargizioni liberali differenziate di beni e servizi, consentirà ai manager di ricevere benefit del tutto esenti da tassazione, con un risparmio contributivo, da parte del datore di lavoro soprattutto, molto pronunciato. A titolo di esempio, rientrano nei panieri di benefit agevolabili dall’ esenzione reddituale i viaggi, il rimborso delle rette scolastiche, anche di istituti internazionali, le spese per collaboratori familiari come i genitori anziani e baby-sitter.
L’unica “perdita” sarà quella dei contributi, che sarebbero stati versati da azienda e dirigente nel caso di premi in denaro, salvo il caso dei dirigenti più giovani i quali, essendo privi di contributi oltre il massimale (pari per il 2020 a 103.055 euro), non patiscono alcuna perdita pensionistica e possono così godere di questo speciale regime fiscale e contributivo senza alcun danno sulla futura pensione.
Servizio previdenza Federmanager in collaborazione con Antonello Orlando